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Sapori

Da Tordomatto, i sapori autentici di Roma diventano una Stella Michelin

Dimenticatevi la Carbonara, l’Amatriciana e la Gricia. I piatti romani che propone il ristorante Tordomatto sono quelli più popolari, un pò dimenticati, che lo chef Adriano Baldassare recupera dal passato per portarli a nuova vita.

Coda alla vaccinara, coratella, animelle… Com’è possibile valorizzare questi ingredienti tanto da farli diventare dei piatti Michelin? Con questa domanda iniziamo la nostra esperienza da Tordomatto.

Entriamo nel ristorante. Un locale sobrio ma intimo, che diventa subito caloroso grazie all’ospitalità con cui veniamo accolti. Di sottofondo, una colonna sonora delle canzoni italiane del passato, che accompagneremo canticchiando per tutta la sera.  L’atmosfera ci piace.

Poi arriva il menù. Siamo curiosi di scoprire lo Chef Adriano Baldassare nella sua essenza, così decidiamo di seguire il percorso “Tradizione in-Progressione”.  Un viaggio di 10 portate che ripercorre la tradizione dei quartieri di Roma e dintorni, attraverso uno sguardo più moderno.

In questo percorso ci accompagna Il maitre e sommelier Simone Romano, che ci spiega aneddoti e particolarità della storia di Roma che hanno ispirato i piatti dello Chef.

Il racconto che mi ha incuriosito di più è stato proprio quello del benvenuto: un bigné salato con prosciutto, fichi e foie gras.  Dove scopro che il foie gras non è una contaminazione francese, bensì un ingrediente già ampiamente utilizzato nella cultura romana antica. Tanto che la parola “fegato” deriva dal latino “ficatum” proprio perché descrive quella parte dell’oca che si mangiava insieme ai fichi. Un abbinamento così forte, da aver dato origine alla parola stessa. E che rende il gusto del classico “prosciutto e fichi” ricco e affascinante.

Così dal primo boccone mi lascio piano piano conquistare da questa ricerca accurata e dettagliata del passato. Un passato che diventa subito nobile, moderno, avvolgente.

Questa sensazione la vivo in particolare quando assaggio la coratella con la salvia, un aperitivo tipico delle fraschette dei Castelli Romani. Che da Tordomatto diventa una pralina elegante, preziosa, che si scioglie in bocca. Bella da vedere, e con un sapore esplosivo.

La stessa esplosione di gusto la sento anche per la coda alla vaccinara. Me ne innamoro appena la vedo arrivare in formato mini, dorata e fritta, servita su un piatto rialzato di argento. “Preparata con il sugo ristretto al cacao, come vuole la tradizione” ci dice il maitre Simone Romano. E da mangiare con le mani. Una delizia assoluta, il mio piatto preferito.

Mi piace molto questa idea di vedere ingredienti poveri e scartati diventare protagonisti di piatti ricchi e succulenti. Che in alcuni casi vengono reinterpretati per renderli più attuali ma che in altri casi ci vengono presentati così, puri.

Come le animelle con carciofi e mentuccia, della zona di Trastevere. O i Ravioli di broccoli in minestra di arzilla, del quartiere Ripa. O ancora, la Vitella alla Fornara del rione Testaccio.

Questi piatti ci vengono presentati nella loro immensa semplicità, sia del punto di vista della cottura che dal punto di vista della presentazione. Semplici quanti complicati. Perché è grazie all’estrema cura e rispetto con cui l’ingrediente viene preparato, che lo Chef riesce a ridisegnarne l’esperienza, valorizzandone gusto e percezione.

Lascio un piccolo spazio per il dolce ed entriamo nella zona del ghetto ebraico. Lo Chef ci propone il pane challah rivisto con il burro e presentato a forma di rosa. La mia felicità nell’intingere questa brioche calda nel burro vanigliato, nella marmellata di arancia e nello zabaione al marsala è davvero indescrivibile. Anche qui piena vittoria della semplicità.

A firmare questa cucina arriva lui, lo Chef Adriano Baldassare. Un cuoco giovane, accogliente, sorridente. Che si ferma a parlare con noi. A raccontarci di lui e ad interessarsi di come abbiamo vissuto questa esperienza. Assolutamente magica.

Lo Chef ci saluta invitandoci a scoprire la sua nuova trattoria popolare che ha aperto sull’Appia, l’Avvolgibile. E noi, non possiamo che appuntarci questo nome e prometterci di andarlo a trovare nella sua nuova esperienza romana.

Link utili:


Tordomatto

tordomattoroma.com

14 Aprile 2019
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Dolci naturali, naturalmente dolci

La mancanza aumenta il desiderio, si dice.
Ed è con questa sensazione che ho approcciato per la prima volta la cucina naturale, senza zuccheri aggiunti. Con quell’idea che, appunto, quando manca lo zucchero ti viene ancora più voglia di mangiarlo.

Eh si, perché io adoro i dolci “dolci”, soprattutto appena sveglia. E ho sempre pensato che nulla potesse battere un cappuccino e cornetto al bar.

Invece, per la prima volta, ho assaggiato cosa significa fare la colazione senza zuccheri aggiunti. E l’ho scoperto grazie ad un workshop a cui ho partecipato nel mio posto preferito di Roma, l’Ex-lavatoio (di cui parlo anche qui) e grazie ad una fantastica ragazza, Michela Fantini (del blog) Biancofarina, che proprio dalla colazione ha iniziato un percorso di sperimentazione della cucina naturale. Un percorso che è diventato il suo modo di vivere, come ci racconta con gli occhi che brillano di felicità e passione.

E così, prendendo la mia carica di mindfulness, ho aperto i sensi per scoprire un nuovo mondo. Un mondo che si è rivelato ricco di nuovi sapori: grazie all’attenzione con cui Michela Fantini seleziona gli ingredienti di pura eccellenza, utilizzandoli poi con assoluta maestria.

Ed è così che la prima esplosione di gusto l’ho sentita con la crostata crumble. La base della crostata era preparata con fiocchi di avena integrali, un mix di farine di mandorle, farina integrale d’avena e farina di semi di lino a cui abbiamo aggiunto sciroppo di datteri, latte di mandorla, olio di cocco, semi e frutta secca a piacere. Il tutto arricchito dalla marmellata senza zuccheri aggiunti.

Già presi singolarmente questi ingredienti mi risultano poco conosciuti, figuriamoci tutti insieme. Proprio per questo la sorpresa è stata ancora più piacevole: sia per la croccantezza della base, sia per l’equilibrio dei  sapori di questo dolce non troppo dolce. Nulla da invidiare alle crostate o crumble più classici. Anzi, per la prima volta ho sentito come lo zucchero naturale degli ingredienti sia più che sufficiente, riuscendo addirittura a rendere più chiari e caratterizzanti i singoli elementi del dolce.

Poi sono arrivati i muffins alle mele e uvetta. Anche qui la dolcezza naturale della frutta era in sintonia perfetta con la parte più croccante delle nocciole. Ogni sapore era poi avvolto dal profumo deciso della scorza del limone bio e dalla cremosità dell’impasto della farina tipo 2 (che non avevo mai usato).

Tutto in un equilibrio davvero unico.

Infine è arrivata la terza sorpresa che non mi aspettavo: il porridge. Non lo avevo mai assaggiato, sempre perché la colazione è sacra e non tendo ad azzardare con cose nuove. Nonostante il mio scetticismo mi sono preparata la mia porzione fatta con fiocchi di miglio integrali, mele e uvetta essiccate, la scorza di arancia, cannella, mandorle e vaniglia.

Devo ammettere che già componendo il mio preparato mi ero fatta conquistare dal profumo degli ingredienti che piano piano selezionavo, tagliavo, mescolavo, grattugiavo. Ma questo profumo è diventato ancore più intenso quando ho riscaldato il composto con il latte caldo. Che bontà!! Me lo sono gustato a merenda e me ne sono letteralmente innamorata.
Così tanto che anche il porridge entrerà a far parte delle mie colazioni preferite.

Così tanto che oggi, ad una buona colazione al bar, preferisco un’ottima colazione preparata naturalmente a casa.

 

Link utili:


Michela Biancofarina

michelabiancofarina.it

10 Marzo 2019
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le Langhe, il Roero e le Demarie

E’ sicuramente uno dei posti che mi è rimasto più nel cuore: Le Langhe, dipinte con i colori dell’autunno. Basta un attimo per sentirsi riconciliati con la natura. Con i suoi colori, le distese di vigneti. Con i suoi sapori: tartufo, Barolo, Barbaresco, i dolci Baci di Cherasco.

I posti da scoprire sono interminabili, non basta una visita. Anzi, il bello è proprio pensare ad un appuntamento che si ripete ogni autunno: un luogo che ti aspetta ma che non è mai uguale a se stesso.

O quasi. Perché alcuni posti, in verità, non li cambierei per nulla al mondo.

Come l‘Agriturismo la Felicina a Cherasco. Una tenuta lontana dalla confusione ma vicina a tutti i luoghi di interesse. L’accoglienza di Titta e Dario, poi, ha il calore di casa. Basta pensare che nella loro tenuta hanno creato un pensione per i cavalli che, non potendo più gareggiare, andrebbero incontro ad un triste destino.

Per non parlare del profumo dell’uva fragolina che innonda il patio. Delle crostate fatte in casa che addolciscono il risveglio. O dei colori della piscina che scivolano nelle vallate delle Langhe.

La loro accoglienza si traduce in una miniera di consigli ed informazioni utili. Grazie a loro, siamo andati a visitare l’azienda agricola Demarie e abbiamo potuto assaporare una delle degustazioni di vino più autentiche, fuori dai luoghi più industriali e turistici.

 

Eravamo partiti per scoprire le Langhe e loro ci hanno fatto innamorare del Roero, un territorio ancora poco toccato dal turismo di massa. Abbiamo visitato le cantine, abbiamo assaggiato i loro vini pregiati, il tutto in una location con il giusto mix tra moderno e tradizionale.

Com’è finita? Siamo tornati a Roma e abbiamo ordinato ben 12 bottiglie di vino tra Arneis, Spumante, Roero Riserva, Barolo e Barbera. La consegna è stata perfetta. Come il nostro momento del brindisi

Link utili:


Agriturismo La Felicina

la felicina.com

Azienda Agricola Demarie

demarie.com

3 Ottobre 2018
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Estate in Costa Rica: il gusto della pura vida

Per le vacanze estive di quest’anno abbiamo scelto un paese poco visitato ma che nasconde una ricchezza indescrivibile: il Costa Rica.

In due settimane abbiamo visitato la capitale San José, ci siamo spostati nella parte caraibica fermandoci al Tortuguero, ci siamo immersi nelle zone centrali per scoprire Vulcani e foreste pluviali fino ad arrivare al mare di Tamarindo, per gustarci il relax nel lato Pacifico del Paese.

L’elemento che colpisce di più in questo Paese è sicuramente la Natura… verde, florida, luogo di rifugio di tantissimi animali.
Noi siamo riusciti a vederli (quasi) tutti: dal magico spettacolo delle tartarughe che depongono le uova nel Tortuguero, ai bradipi che dormono nelle riserve della Fortuna, alle scimmie che popolano gli alberi a Tamarindo, fino agli animali notturni che vivono nelle foreste tra cui tarantole e vipere.
Per quanto riguarda la cultura culinaria, invece, il Costa Rica non vanta grandi piatti.  Ciò nonostante, si possono trovare diversi locali a connotazione più internazionale che vale la pena provare per assaporare le tendenze culinarie del Pease. Ecco i miei locali preferiti:
1) Restaurante Silvestre a San José
Parto dalla fine perché è stato l’ultimo ristorante in cui abbiamo mangiato prima di tornare in Italia. Ma per la qualità del cibo e l’idea dei piatti si posiziona sicuramente al primo posto. Noi abbiamo scelto il menu degustazione che è un vero e proprio racconto del Costa Rica, delle sue maschere, le sue tradizioni, i suoi paesaggi e la sua storia. Ogni piatto rappresenta un pezzo di questo racconto che viene reinterpretato in maniera innovativa e ricercata. Assolutamente da non perdere.
2)  Park Cafe a San Josè
Questo, invece, è stato il primo ristorante che abbiamo assaggiato in Costa Rica. Neanche il tempo di riprenderci dal fuso che già eravamo a cena al Park Cafe, un ristorante francese all’interno di una boutique di antiquariato con giardino. Location stupenda, ospitalità molto gradevole con lo chef Richard Neat e la sua fidanzata che ci hanno accolti e trattati con professionalità e gentilezza. Noi abbiamo optato per il menu degustazione che si basa su un’idea molto carina: quella di assaggiare entrambe le opzioni che vengono proposte per ciascuna portata. Alla fine si ha un’idea generale della cucina di Richard Neat: presentazione di grande effetto, buonissimi i piatti di carne e il fondente al cioccolato.
Cosa non perdere a San Jose: l’escursione alla Paz, per vedere le cascate e gli animali del Costa Rica

3) Chocolate Fusion a La Fortuna
Girovagando per la cittadina abbiamo trovato questa cioccolateria meravigliosa. Si tratta di un localino piccolino ma pieno di qualsiasi prelibatezza: cioccolato bianco, fondente o al latte con qualsivoglia combinazione dal tamarindo, alla Pina colada passando per le opzioni più classiche al caffè. Noi abbiamo preso una confezione da nove cioccolatini, che sono spariti nel giorno di mezz’ora.

 

Da non perdere a La Fortuna: le terme al Tabacon, l’escursione al Rio Celeste, ma soprattutto la visita alla riserva di Bogarin per vedere il bradipo e la rana ai millecolori.

4) El Jardin a Monteverde
Addentrandoci nella parte centrale del Costa Rica abbiamo deciso di soggiornare al Monteverde Lodge & gardens e non ci potevamo innamorare di posto più suggestivo: in mezzo alla foresta, con la migliore ospitalità del paese. Anche il ristorante non è stato da meno: dall’aperitivo davanti al fuoco del cammino fino alla cena è stato tutto perfetto, soprattutto quando abbiamo assaggiato il delizioso lomito (filetto) cucinato alla perfezione.

Da non perdere a Monteverde: la zipline in mezzo alla foresta

5) Coco Loco a Playa Flamingo
Come ultima tappa arriviamo al mare. Anche se di base stavamo nella playa Tamarindo che vanta tantissimi ristoranti, noi siamo rimasti particolarmente colpiti da questo localino sulla playa flamingo: il Coco Loco. A conquistarci sono state le due ceviche di pesce: una con tonno e cocco, l’altra con spigola e ananas… entrambe servite dentro i gli stessi frutti… davvero squisite!
Dopo un pranzo così, la cosa più bella è stata rilassarsi nella bellissima playa Flamingo, sdraiandosi sulla lunga spiaggia bianca quasi deserta, ad ascoltare il rumore delle onde.
Ed è con questa immagine che abbiamo salutato il Costa Rica, portandoci dentro questa bellissima sensazione di cosa significa vivere la pura vida.

Link utili:


Restaurante Silvestre

restaurantesilvestre.com

Park Café

parkcafecostarica.com

Monteverde Lodge & Gardens

monteverdelodge.com/restaurant

Coco Loco

cocolococostarica.com

9 Settembre 2018
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Un giorno a Capri con cena al ristorante il Riccio

Per festeggiare al meglio l’estate italiana abbiamo scelto di andare a Capri, per goderci un bel week end di mare e sole nella romantica isola campana. Seguendo i consigli di una mia amica innamorata di quest’isola, abbiamo organizzato la giornata “tipo” che consiglierei a chiunque.

Prima tappa: il mare.

Appena arrivati di prima mattina a Capri abbiamo puntato dirittamente al mare. Si può prendere un barchino per fare il giro dell’isola oppure si può prenotare (con anticipo) Da Luigi ai Faraglioni che si raggiunge dopo una bella (e faticosa) passeggiata che porta dal centro di Capri fino allo splendido mare blu profondo che si affaccia sui Faraglioni. Imperdibile, soprattutto se alla fine della salita si prende una granita al limone nel chioschetto di fronte. Rinfrescante e dal sapore intenso, davvero ottima.

Seconda tappa: il gelato da Buonocore.

Impossibile perdere questo posto dalla fila che si crea davanti alla gelateria ma anche dal profumo della cialda che viene preparata sul momento. Anche per me, che non sono un’amante del cono, è stata una squisita sorpresa… una cialda di una croccantezza così perfetta da esaltare ancora di più il gusto degli ingredienti. Anche questi, superlativi.

Terza tappa: il ristorante il Riccio, definito dalla mia amica il “posto del cuore”.

Situato all’interno del Capri Palace hotel e vicino alla famosa grotta azzurra, il ristorante il Riccio vanta una stella Michelin in una location bianca e azzurra da favola, che si affaccia direttamente sul mare.

Decidiamo di iniziare la serata nella nuova terrazza Sea Lounge con un aperitivo che ci è stato servito con un buonissimo piattino di vongole da accompagnamento, e la vista su un tramonto spettacolare. Inizio promettente.

Ci siamo spostati poi al ristorante e subito siamo entrati nell’atmosfera magica di questo luogo. Prima nota da 10 e lode è il servizio. Attentissimo, generoso e cordiale. Come antipasto abbiamo preso un polpo alla griglia con crema di prezzemolo, verdure e peperoni cruschi, a seguire una trilogia di tartare di tonno e come consiglio dello chef abbiamo assaggiato il carpaccio di gamberi rossi con fragole, cetrioli, taralli alle mandorle e aceto balsamico. Consiglio davvero azzeccato, perché il carpaccio di gamberi è veramente unico.

Siamo passati poi ai primi. Io ho preso uno dei piatti principali del ristorante: gli spaghetti alla chitarra ai ricci di mare. Un gusto molto deciso che mi ha accompagnato con soddisfazione a concludere con i dolci.

E qui, la sorpresa. C’è chi usa il menù dei dolci, il Riccio invece ha creato un luogo dedicato: la “stanza delle tentazioni” dove siamo stati accompagnati per scegliere direttamente i nostri dolci. Io mi sono concentrata sulla caprese e sulla mia grande passione: il babà. Davvero ottimo, tanto da riconfermarsi il mio dolce preferito!

Dopo questo finale originale e delizioso, siamo tornati in hotel con la sensazione di aver trovato, anche noi, un nuovo posto “del cuore”.

Link utili:


Ristorante il Riccio

capripalace/it/ristoranti-e-bar/il-riccio

Da Luigi ai Faraglioni

luigiaifaraglioni.com

30 Luglio 2018
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Un’esperienza da sogno al Six Senses in Oman

Dopo le nostre giornate ricche di cose da fare a Dubai, abbiamo deciso di concederci due notti al Six Senses Zighy Bay in Oman, per rilassarci prima del ritorno a Roma. Il Six Senses è un resort che dista sole due ore di macchina da Dubai e che supera qualsiasi immaginazione: una vera e propria gemma nascosta nella Musadam Peninsula in Oman.

Per passare la frontiera bisogna affittare una macchina oppure organizzarsi con un transfer direttamente presso il resort. Noi abbiamo scelto questa seconda opzione e la consiglierei a chiunque perché la traversata per arrivare al Six Senses è spettacolare ma decisamente tortuosa! Passata la frontiera con Dubai, abbiamo attraversato le montagne del caloroso deserto per poi trovarci davanti ad uno scenario spettacolare: un lembo di spiaggia bianca affacciata sul golfo dell’Oman. Tutto intorno, roccia e deserto.

Per i più avventurosi, è possibile anche “buttarsi” da queste montagne con il parapendio per arrivare direttamente al resort. Noi, decisamente meno temerari, abbiamo scelto di continuare con la discesa “soft” a bordo del nostro fuoristrada che ci ha portati fino a questo lembo di sogno.

La sensazione che abbiamo provato appena arrivati al Six Senses è quella di sentirsi felicemente sperduti dal mondo ma coccolati da tutte le possibili attenzioni.

Arrivati alle stanze siamo rimasti senza parole. Ogni stanza è una villetta con piscina, ad un passo dal mare. Da una parte ti viene voglia di non uscire mai di casa. Dall’altra, il paesaggio fuori è talmente suggestivo che vorresti solo correre sulla sabbia soffice e tuffarti felice nel mare turchese, trasparente, caldo. Una pace infinita.

E poi, arriviamo alla parte che non può mancare: il buon cibo.

La prima sera siamo andati al Sense on the Edge, il “signature restaurant” del resort con una stella Michelin.

Abbiamo preso il menu degustazione a 5 portate, ma la parte più bella è stata ammirare il paesaggio spettacolare che si vede dal ristorante, posizionato in cima alle montagne. Davvero romantico.

Come cibo invece ho preferito quello più tradizionale della seconda sera, la cena beduina. Abbiamo iniziato con dei fantastici meze misti a base di hummus, baba ganoush e falafel. Quando l’appetito è salito al punto giusto, è arrivato il piatto forte: la carne di agnello, con tanto di dimostrazione dello chef.

Prima di tutto, lo chef ci ha spiegato che la carne era stata precedentemente avvolta nelle foglie di vite e poi ricoperta di carta di alluminio. Dopodiché era stata inserita all’interno di una “botola” di ferro posta sotto la sabbia, all’interno della quale la carne si è cotta lentamente per ore sotto il calore naturale del terreno. Lo chef ci ha spiegato che questo tipo di cottura rende la carne specialmente morbida e succosa. E, infatti, una volta tirata fuori dalla sabbia e dall’involucro di foglie di vite, abbiamo sentito sprigionarsi un profumo indescrivibile.

Pochi minuti dopo, l’agnello ci è stato servito con del riso, arachidi e pinoli. E il risultato ha più che soddisfatto le nostre aspettative: dal profumo alla consistenza della carne fino al gusto finale del piatto. Un’esperienza che ricorderemo per molto tempo.

Per finire abbiamo assaggiato il dolce umm’alia base di pane, latte e frutta secca. E’ un dolce povero ma squisito, proprio per questo si narrano diverse leggende sul suo conto. La più bella, secondo me, racconta di un sultano che dopo un lungo viaggio nel deserto, decise di fermarsi in un piccolo villaggio molto povero. Umm Ali, la più brava cuoca, fu chiamata per cucinare qualcosa al sultano ma in casa aveva solo pane vecchio, latte, qualche spezia e della frutta secca… da cui uscì fuori però un dolce talmente delizioso che il sultano gli dedicò il nome e se la portò via con se.

E con il sapore di questo dolce quasi magico, abbiamo salutato l’Oman con un bel bagno in piscina di mezzanotte. A ripensare sotto le stelle a questo posto così speciale, che rimarrà nei nostri ricordi per sempre.

Link utili:


Six Senses Zighy Bay Oman

sexsenses.com/resorts/zighy-bay

20 Giugno 2018
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Street food al Mercato Testaccio

E’ uno dei miei posti preferiti a Roma: il Mercato Testaccio.

Lavorando lì vicino, capita spesso che a pausa pranzo faccio un giro per il Mercato e subito mi sembra di essere un po’ in vacanza. Tra turisti e studenti di Architettura, mi piace passeggiare tra i banchi di frutta e verdura, tra scarpe e vestiti fino ad arrivare ai vari box di street food.

Qui la scelta è varia e si riesce sempre a trovare il cibo da passeggio che si stava cercando… è davvero impossibile non lasciarsi ispirare da questo luogo!

Io, ad esempio, di solito alterno tra il banco vegetariano Zoè, dove posso sbizzarrirmi tra insalate e centrifugati, e il banco stellato Cups della chef Cristina Bowerman, dove posso prendermi un panino gourmet o un pasto on the go scegliendo tra le varie ricette della cucina di Romeo Chef & Backer.

Oggi ho optato per la seconda scelta e, con una coppetta di farro con pomodorini e melanzane in mano, mi sono goduta questa oretta di aria primaverile, girovagando nel mercato e tra i murales del quartiere.

Altre volte invece, quando ho voglia di mangiare con più calma, vado al centro del Mercato dove si trova uno spazio dove posso sedermi al tavolo e gustarmi il pranzo in totale comodità. E devo ammettere che è proprio questo senso di libertà che mi rende questo luogo così piacevole, perché posso scegliere in quanto tempo mangiare, se pranzare a passeggio o seduta ma anche poter scegliere tra una varietà di banchi che consente di soddisfare ogni volta un’esigenza diversa, soprattutto se si è in compagnia!

Il Mercato di Testaccio si trasforma, poi, anche in un luogo di eventi. E la stagione si apre proprio in questo periodo, ospitando dal 21 aprile al 01 maggio 2018 gli Open Day con visite guidate agli scavi archeologici nei sotterranei del mercato, dj set e laboratori per bambini. Un’occasione in più per visitare il Mercato Testaccio, anche ad orari in cui solitamente non è aperto.

Tutte le informazioni sono sul sito, anche questo degno di nota! Mi piace molto lo stile che racchiude la descrizione del Mercato ma anche le foto delle persone lavorano nei vari banchi, riuscendo con semplicità a trasmettere perfettamente l’atmosfera e l’allegria di questo piccolo luogo, a me così caro, di Roma.

Link utili:

Mercato Testaccio

mercatoditestaccio.it

22 Aprile 2018
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Profumi di casa: frappe e castagnole

Il Carnevale mi è sempre piaciuto.

Un po’ perché non ha una data fissa. Ogni volta che arriva, cade sempre un po’ così, a sorpresa… e questo già me lo rende simpatico.

E poi perché il Carnevale mi ricorda i profumi di casa, con mia madre intenta a impastare e a riempire sfilate di vassoi colmi di castagnole e frappe, da mangiare con familiari e amici.

La particolarità di questi due dolci, come dice mia madre, è che si parte dagli stessi ingredienti per poi arrivare a due sapori completamente diversi, o diversamente unici, come mi piace definirli.

Entrambi, infatti, nascono dalla semplicità: farina, strutto, zucchero, uova, scorsa di limone, liquore per i più grandi. Con quantità diverse, come mia madre insegna:

  • Per le frappe: 500 g di farina 00; 65 g di strutto (o burro), 1 o 2 cucchiai di zucchero, 1 uovo interno, scorsa di limone grattugiato, 1 bicchierino di liquore (grappa o vinsanto)
  • Per le castagnole: 500 g di farina 00; 100 g di strutto (o burro), 100 g di zucchero, 3 uova intere, scorsa di limone grattugiato, a piacere 1 bicchierino di liquore (grappa o limoncello)

E poi, cambia tutto. Perché in cucina, come nella vita, quando si hanno a disposizione gli stessi ingredienti, è l’esecuzione che fa tutta la differenza. Cambiandone completamente il risultato, il sapore, l’esperienza di gusto.

Nel caso delle frappe, si tira l’impasto, si formano dei rettangoli, si friggono (olio caldo ma non bollente), si fanno riposare e si servono con una spolverata di zucchero a velo.

Nel caso delle castagnole, si lascia l’impasto “grezzo” prendendone dei pezzetti grandi come nelle noci, si friggono, e una volta scolati si ripassano ancora caldi nello zucchero semolato. Anche qui, si frigge con olio caldo ma non bollente per non bruciare la superficie lasciandone crudo l’interno.

Attenzione – continua mia madre – niente a che vedere con le castagnole morbide ripiene, che vengono fatte da un impasto completamente diverso tipico dei bigné.

Insomma, noi siamo per la tradizione e le castagnole ci piacciono classiche. Con lo strutto, fritte e senza ripieno.

Da gustarle fino all’ultimo, perché poi, arriva la Quaresima.

 

 

13 Febbraio 2018
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Bis di primi all’ampezzana

Neve fuori, fuoco dentro. Ecco, la bellezza della montagna.

Noi andiamo spesso a Borca di Cadore, nelle Dolomiti Bellunesi, riconosciute dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità per il loro valore estetico, paesaggistico e geologico. La sensazione di benessere che si prova a passeggiare in questi luoghi è, infatti, semplicemente magico.

Lo stesso vale per le delizie ampezzane. Per chi non fosse mai venuto in questi luoghi, la cucina è in parte simile a quella tirolese, per questo molti piatti tipici portano gli originali nomi tedeschi. Da non perdere assolutamente i chenedi (palle di pan grattato ripiene di speck, spinaci, lardo o formaggio), i casunziei (ravioli a mezzaluna ripieni di rapa rossa o patata) e la famosa apfelstrudel (la torta di mele tirolese).

Noi, per un capodanno in montagna, abbiamo deciso di fare onore alla cucina locale

preparando alcune specialità direttamente a casa, con qualche piccola rivisitazione:

Spatzle di spinaci preparati con speck, burro fuso e ricotta salata grattugiata. 

Gnocchi di zucca preparati con burro fuso, semi di papavero, mandorle e parmigiano grattugiato.

Un bis di primi molto facili da fare, visto che trovare qui la materia prima è già sinonimo di eccellenza. Noi facciamo sempre riferimento al Panificio e alla Pasticceria Fiori a San Vito di Cadore con i loro prodotti da forno, i formaggi, i salumi e tutte le specialità ampezzane preparate con maestria.

Con pochi ingredienti e un negozio di fiducia, il risultato è assicurato. E il giorno dopo si ricomincia con una bella escursione nelle Dolomiti.

Link utili:

Panificio e Pasticceria Fiori

panificiofiori.it
hmfiori.it

Ricetta Spatzle agli spinaci e burro fuso

agrodolce.it

16 Gennaio 2018
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